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LA GOLA,
IL FIUME,
LA PIETRA

LE MIE MANI E LA SUPERFICIE

In Nuova Zelanda è facile fare una passeggiata lungo un fiume e perdersi nella contemplazione dei suoni e della natura che ti circondano. Qui ogni luogo, nella sua magnifica bellezza, è magico. Qui ogni foglia, uccello o pietra, risveglia la tua immaginazione e improvvisamente senti il bisogno di dare una risposta, in qualche modo, a questa chiamata. Così inizi a raccogliere cose, a stabilire un contatto e un discorso con quegli elementi primordiali, e quella pietra diventa un'icona sacra e la sua superficie evoca l'infinito. La mia memoria allora inizia a scivolare su di essa, creando forme come linee d'acqua intorno alle gocce di pioggia, o come lo snodarsi di quel fiume nella gola. 
La scava poi, per scrutare nelle sue profondità, scoprendo che questa pietra racchiude in sé una memoria che la riconnette con le sue origini, nelle profondità dell'oceano. Questo contatto mi riporta infine nella mia terra natìa, l'Italia, dove da secoli la gente vive sulla roccia scoscesa accecata dal sole, lungo i dirupi, trovando giaciglio nelle sue nicchie, scolpendola a terrazzamenti. E mentre sulla sua cima dimora indisurbato lo scheletro di un antico cetaceo estinto, ecco che in fondo al ripido pendìo appare un altro fiume, che scorre.

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